Cresce a livello mondiale il costo degli alimenti e scarseggia il suolo coltivabile. Fenomeni non contingenti dovuti ad una molteplicità di fattori. Tra questi la costante crescita dei consumi generata dalla persistente crescita demografica (gli abitanti della Terra sono ormai giunti alla soglia dei 7 miliardi) e dall’aumento del grado di benessere e quindi dal cambiamento delle abitudini alimentari di una parte consistente delle popolazioni di quelli che un tempo definivamo come paesi sottosviluppati. Ed ancora la riconversione a fini energetici di molte colture, la desertificazione indotta dal generalizzato utilizzo di diserbanti e fertilizzanti chimici, l’introduzione degli OGM, l’intensificata frequenza dei disastri ambientali, la speculazione e lo spreco che caratterizzano le reti della grande distribuzione, ecc. Fattori che in diversa misura concorrono a far sì che i terreni fertili (una quota assai limitata della superficie terrestre) stiano diventando una delle risorse più preziose per la qualità della nostra vita e talvolta per la nostra stessa sopravvivenza.
Non solo nel Sud del Mondo, ma anche in Europa vi è dunque oggi una crescente attenzione per la riscoperta e la valorizzazione delle aree agricole urbane e periurbane sopravvissute all’alluvione edilizia degli ultimi decenni. In molte città del centro e del nord Europa l’autoproduzione alimentare e/o l’acquisto di prodotti alimentari “a chilometro zero” coprono una quota crescente dei consumi delle famiglie con indubbi vantaggi, sia di tipo economico sia ai fini della salute e del benessere, per produttori e consumatori (quelli che – associati nei gruppi di acquisto solidale – Carlo Petrini definisce come co-produttori). Un’attenzione che quasi sempre si associa alla riconversione in chiave biologica delle stesse tecniche di coltivazione, alla tutela della biodiversità, dell’ambiente e del paesaggio, alla costruzione di una rete di nuove economie locali in grado di restituire bellezza ed identità ai luoghi.
E’ questa una delle ragioni, anche se certo non l’unica, per cui la battaglia contro il consumo di suolo e per la salvaguardia e la valorizzazione dei terreni agricoli (in attività o anche temporaneamente abbandonati) dovrebbe divenire una delle strategie di fondo di ogni nuovo piano urbanistico e territoriale, tra le cui finalità vi dovrebbe essere quella di scoraggiare ogni attesa speculativa. L’integrazione tra reti ecologiche (spesso coincidenti con i principali bacini idrografici) ed aree destinate all’agricoltura può infatti contribuire in misura determinante alla riqualificazione funzionale e paesaggistica di ampi tratti della “città diffusa” caratterizzante molte regioni europee ed italiane.
Ma è realistico proporre un progetto di agricoltura urbana nello specifico dell’area metropolitana padovana? E quali sono state le trasformazioni e le tendenze che ne hanno caratterizzato negli anni passati e che ne caratterizzano attualmente lo sviluppo?
Un quadro sintetico di quanto l’espansione urbana abbia compromesso le attività agricole del territorio periurbano è ricavabile dalla lettura dei Censimenti Istat 1970, 1982, 1990 e 2000. Complessivamente in trent’anni nei 18 comuni della comunità metropolitana la Superficie Agricola Totale (SAT) delle aziende censite dall’Istat è diminuita in termini assoluti di ben 72 milioni di mq (il 25% della superficie agricola censita nel 1970), passando da 28.563 a 21.332 ettari. Considerando il solo territorio amministrato dal Comune di Padova la perdita di territorio agricolo è stata di circa 17 milioni di mq (pari al 41% della superficie agricola iniziale), passando da 4.338 a 2.552 ettari. L’aspetto più inquietante per quanto riguarda il Comune di Padova è che – diversamente da quanto avvenuto nei comuni della cintura – il maggior consumo di suolo agricolo, sia in termini assoluti che percentuali, si è registrato negli anni ’90, in un decennio in cui la popolazione è diminuita di oltre 10.000 abitanti. Negli anni ’90 nel Comune di Padova il consumo di suolo è risultato di oltre 1 milione di mq/anno, a fronte di un consumo medio complessivo di tutti gli altri 17 comuni dell’area metropolitana di “soli” 1,4 milioni di mq/anno (cfr. tabelle allegate).
Per Padova e provincia non sono ancora disponibili i dati relativi agli anni 2000, ma da un’indagine Istat del 2007 relativa al Veneto si evidenzia che il consumo di suolo agricolo a livello regionale, anziché diminuire, ha subito un’ulteriore impennata, passando dalla media di 9.752 ettari/anno del decennio precedente ad una media di 11.841 ettari/anno. Una tendenza più che preoccupante soprattutto alla luce del fatto che da molti anni la nuova legislazione urbanistica ed i nuovi piani urbanistici e territoriali si richiamano nelle loro premesse e negli indirizzi di fondo ai principi della sostenibilità ambientale e del recupero dell’esistente! Purtroppo tra le dichiarazioni di principio e le reali scelte di dimensionamento dei piani vi è quasi sempre una distanza abissale, giungendo persino ad interpretare creativamente le norme e ad “aggiustare” i conti delle relazioni tecniche per aggirare il limite massimo alla trasformabilità delle superfici agricole utilizzate (SAU) imposto dalla legge.
Eppure, nonostante il diluvio edilizio degli anni passati, se ve ne fosse la volontà politica, una inversione di tendenza ed un disegno organico di salvaguardia e riqualificazione del territorio agricolo periurbano sarebbe ancor oggi possibile. Un preciso punto di riferimento può a questo fine essere individuato nel Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) adottato nel 1995 e poi, purtroppo, lasciato decadere. Un piano che – contrastando la dispersione urbana – descriveva una città metropolitana policentrica, articolata in un ridotto numero di nuclei insediativi esterni serviti dalla rete dei trasporti collettivi e caratterizzati dal decentramento di alcuni significativi servizi territoriali. La concentrazione dell’edificato in alcune polarità esterne avrebbe consentito la formazione attorno alla città centrale di un’estesa cintura verde di 8.900 ettari, costituita da aree agricole, ambiti naturalistici e spazi di verde attrezzato. Una green belt a salvaguardia degli spazi aperti, che potrebbe ridare forma agli insediamenti urbani, ridisegnandone i margini e penetrando al loro interno con raggi verdi e corridoi ecologici.
Certo per tradurre in realtà l’idea della cintura verde periurbana non è sufficiente disegnarla nelle cartografie di piano, ne è sufficiente porre più efficaci vincoli all’edificabilità delle aree. Occorre elaborare un progetto operativo condiviso da tutti i soggetti potenzialmente coinvolgibili: enti locali, associazioni di categoria, agricoltori ed operatori economici, consorzi di bonifica, associazioni ambientaliste e di volontariato, ecc. Gli esempi non mancano. Forse il più noto è quello avviato dalla Municipalità di Francoforte in Germania.
Risale al 1990 il progetto di GrünGürtel (cintura verde) di Francoforte, un sistema unitario di boschi, aree agricole e parchi urbani, per la cui attuazione venne costituita una apposita agenzia di carattere pubblico. Nel manifesto programmatico approvato dal Consiglio Comunale della città di Francoforte si afferma che «il GrünGürtel è l’immagine di uno spazio libero e aperto in cui la società urbana riesce a realizzare se stessa… è luogo di vita e di sviluppo per piante e animali, anche, in particolare, per quelli più rari o minacciati di estinzione. Uno dei suoi compiti principali è la tutela e l’attento sviluppo dei caratteri del paesaggio culturale, costituito da fattori ambientali naturali e dagli effetti della gestione storica del territorio. La cintura verde è collegata ai quartieri del centro urbano tramite collegamenti verdi radiali e circolari; come completamento della cintura verde, essi provvedono alla sua sicura raggiungibilità dal nucleo cittadino e al collegamento in rete dei biotopi. Verso l’esterno corridoi verdi collegano il GrünGürtel con le aree inedificate della regione…».
Concetti non dissimili caratterizzano il progetto di Gren Belt elaborato in anni più recenti dalla città di Torino ed il progetto di parchi urbani e rurali predisposto dalla città di Ferrara. Ma l’esperienza forse più significativa in Italia è quella del Parco Agricolo Sud della provincia di Milano.
Il parco agricolo, che avvolge la periferia sud della città di Milano, venne istituito con apposita legge regionale del 1990 e comprende attualmente un territorio di circa 47.000 ettari (il 50% del territorio metropolitano) di cui 35.000 coltivati. Nel suo ambito vi sono 910 cascine ed operano oltre 4.000 addetti. Le attività agro-silvo-colturali sono assunte come elemento centrale e connettivo per la vita del parco, tra i cui obiettivi vi sono però anche: lo sviluppo della multifunzionalità economica (produzioni tipiche, biodiversità vegetale e animale, agricoltura biologica, agriturismo, ecc.); la formazione di filiere corte per la commercializzazione dei prodotti; la riqualificazione ambientale e del sistema delle acque; la valorizzazione del sistema delle cascine e dei nuclei storici; la fruizione pubblica e le reti della mobilità lenta; la certificazione dei prodotti e gli incentivi economici; la partecipazione e la costruzione di una nuova immagine ed identità comunitaria. In vista dell’Expò 2015, dedicato al tema “Nutrire il pianeta, energie per la vita”, l’associazione Slow Food di Carlo Petrini in collaborazione con il Politecnico di Milano ha inoltre da tempo avviato un programma di potenziamento delle attività del Parco, finalizzato in particolare a trasformare l’agricoltura secondo criteri di sostenibilità ed innovazione, all’utilizzo di risorse energetiche rinnovabili, alla costruzione di nuove filiere alimentari con l’istituzione di un Mercato della Terra settimanale alla periferia di Milano, alla creazione di appositi fondi finanziari per favorire l’ingresso dei giovani in agricoltura ed alla promozione di pratiche educative permanenti.
Per le ragioni esposte, seguendo il positivo esempio delle esperienze di pianificazione urbana e territoriale di numerose altre città europee ed italiane, considerato anche il fatto che nell’area metropolitana di Padova esistono ancora oltre 21.000 ettari di territorio agricolo (il 57% della superficie territoriale complessiva), riteniamo che, per garantire uno sviluppo realmente sostenibile alla città di Padova, sia assolutamente necessario ed urgente l’elaborazione di un progetto di salvaguardia e valorizzazione (economica e paesaggistica) del territorio agricolo urbano e periurbano. Un progetto che deve essere esteso alla scala metropolitana essendo inimmaginabile che venga frammentato nei PAT dei singoli comuni. Un primo passo in questa direzione non può quindi che essere costituito dall’integrazione dei tematismi relativi all’agricoltura ed al paesaggio agrario nel PATI intercomunale recentemente adottato. In pendenza di detta integrazione si deve richiedere ai Comuni di non approvare alcuna variazione di destinazione d’uso dei terreni agricoli per non compromettere la possibilità di elaborare un organico progetto unitario.
aprile 2011