Urbanistica e grandi affari a Padova

Il “caso Bertolaso”. Da molte parti si è tentato di ridurre lo scandalo degli appalti gestiti dalla Protezione Civile ad un problema di ordinario malcostume, da sempre assai diffuso tra i pubblici funzionari. La fornitura di escort, auto di lusso, ville e le assunzioni di parenti da parte delle imprese affidatarie degli appalti, sarebbe insomma un qualcosa in più, ma non sostanzialmente differente dalle bottiglie e dai panettoni natalizi. Peccatucci e birbonate, come ama definirli il nostro Presidente del Consiglio.

Ma se non ci si sofferma ai soli fatti di costume (pur gravi nella loro entità e per la loro diffusione), non è possibile non accorgersi che dall’inchiesta dei giudici di Firenze sulla gestione delle opere connesse al G8 della Maddalena, ai Mondiali di Nuoto del 2009 ed alle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, emerge uno spaccato desolante della ben collaudata struttura di potere e del livello di corruzione che caratterizza da molti anni buona parte dell’attività imprenditoriale del nostro paese nel settore dei lavori pubblici. Dal 2001 ad oggi, cioè da quando con una apposita legge alla Protezione Civile sono state assegnate anche le competenze relative ai “grandi eventi” (che molto spesso di grande hanno solo il nome), le ordinanze straordinarie del capo del governo (in precedenza una o al massimo due ogni anno) sono state oltre 500, consentendo anche per opere di ordinaria amministrazione la deroga rispetto a tutte le normative di legge sugli appalti. In virtù di dette ordinanze una ristretta cerchia di politici (Berlusconi e Letta in primo luogo) e di alti funzionari della Protezione Civile e del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha potuto gestire direttamente una spesa di oltre 10 miliardi di euro, avendo di fatto la possibilità di pilotare gli appalti verso le imprese amiche.

Come afferma De Magistris, se controlli la spesa pubblica, controlli il motore dell’economia. Non solo. Sempre più in Italia con i meccanismi del concessionario unico e del project financing, eliminata la libera concorrenza, si sta determinando un fitto intreccio di interessi tra pubblico e privato, tra controllori e controllati, e si sta affermando in molti settori strategici dell’economia un ceto imprenditoriale clientelare e parassitario per il quale ciò che effettivamente conta è un rapporto privilegiato con la politica.

Le vicende venete dell’ultimo decennio, nel campo dell’urbanistica e degli appalti pubblici, forniscono da questo punto di vista ampia materia di riflessione. Ad iniziare dall’affidamento ad un unico concessionario, il Consorzio Venezia Nuova, di tutti gli studi, i progetti e le opere riguardanti la salvaguardia della laguna veneta, il cui simbolo più inquietante è il famoso MOSE (paratie mobili), che si prevede di completare entro il 2012 per una spesa complessiva di 4,7 miliardi di euro e per un costo manutentivo annuo preventivato di oltre 30 milioni. Il potere del Consorzio Venezia Nuova, nel quale la parte del leone è oggi svolta dall’impresa Mantovani spa, negli anni è progressivamente cresciuto, compenetrandosi con le istituzioni che governano la città e la provincia, nonché con le fragili strutture del Magistrato alle Acque che ne dovrebbe controllare l’attività. Di fatto non vi è scelta strategica per il destino di Venezia e del suo territorio che non sia condizionata dagli interessi e dalle politiche del Consorzio.

La Mantovani spa, impresa di riferimento del governatore Galan, fa anche parte, con la Astalti, La Mattioli (Compagnia delle Opere), la Gemmo e lo Studio Altieri, della cordata di imprese che ha realizzato in project financing (la prima partnership pubblico-privata in Italia) l’Ospedale di Mestre-Zelarino (258 milioni di euro). Ritroviamo sia la Gemmo spa (di cui Irene Gemmo, presidente fino a pochi mesi fa della finanziaria regionale “Veneto Sviluppo”, è titolare con i fratelli) che lo Studio Altieri protagonisti di molti dei grandi appalti pubblici affidati con quello che Alberto Statera definisce il “sistema Sartori”, dal nome di Lia Sartori, ex socialista vicentina, compagna di Vittorio Altieri (deceduto qualche tempo fa), per lungo tempo assessore regionale alla viabilità ed ai trasporti, considerata la mente del governatore Galan nel campo dei lavori pubblici. Un sistema d’appalto dove l’elevato punteggio attribuito alla “qualità estetica” dei progetti presentati consente la massima discrezionalità nella selezione delle imprese.

Grandi affari che proseguiranno a gonfie vele se verranno confermate le indicazioni del nuovo Piano Territoriale Regionale di Coordinamento adottato lo scorso anno dalla Giunta Regionale. Un piano che favorisce la realizzazione di nuovi megainsediamenti direzionali, commerciali e residenziali lungo tutto il Passante di Mestre, da Veneto City a Dolo al Quadrante Tessera in prossimità dell’aeroporto Marco Polo, e nuove megainfrastrutture, quali la Sublagunare tra Venezia ed il suo aeroporto, il Grande Raccordo Anulare di Padova, la camionabile lungo l’Idrovia Padova-Mare.

Anche a Padova le potenti lobbies del mattone e della proprietà fondiaria hanno fatto sentire la propria influenza. Basti pensare alle varianti di piano appositamente approvate per la realizzazione dell’IKEA (studio Endrizzi) in prossimità del casello di Padova Est o per la costruzione di 135 appartamenti in via Canestrini, in prossimità del parco IRIS, in un’area precedentemente destinata a verde pubblico (Cooperative La Traccia e L’Operatore collegate alla Compagnia delle Opere).

Un analogo preoccupante tentativo di modificare le previsioni di piano vi è stato con la presentazione, da parte della società Valli, di un Piano di Recupero Urbano (PIRUEA) che nel cuore del quartiere Arcella, in aree destinate a verde pubblico e servizi, pretendeva di poter costruire due torri e vari fabbricati (per un totale di 34 mila mc) da destinare a residenza ed attività commerciali, offrendo in cambio al Comune la cessione di alcuni locali per le attività del Consiglio di Quartiere. Il piano venne adottato dalla Giunta, ma non fu fortunatamente mai approvato dal Consiglio, in ragione soprattutto della consultazione popolare nel frattempo indetta tra gli abitanti del quartiere, che a grande maggioranza bocciarono l’operazione immobiliare.

Una perversa logica di accordi pubblico-privati che sta alla base anche del progetto di autosilos per 600 posti auto previsto nell’area dell’ex Foro Boario di Prato della Valle (che rimarrà in concessione ai privati per 45 anni). Una logica che si prevede di utilizzare anche per il nuovo ospedale cittadino, localizzato nei pressi dello stadio Euganeo, con il rischio che – come qualcuno ha già proposto – le aree delle cinta bastionata cinquecentesca, su cui insistono le cliniche del vecchio ospedale, vengano “valorizzate urbanisticamente” per consentire al concessionario privato, partner del project financing, di coprire parte dei costi del nuovo insediamento.

La logica dell’accordo con i proprietari di aree è implicita anche nella metodologia della “perequazione urbanistica” introdotta nel PRG di Padova – in anticipo rispetto alle norme della legge regionale 11/2004 – con apposita Variante del 2001, parzialmente modificata nel 2004. Uno strumento, quello della perequazione, indubbiamente efficace per porre rimedio ai sempre più ridotti trasferimenti di risorse finanziarie concessi dallo stato ai comuni. Ma anche un’arma a doppio taglio, che se mal utilizzata non salvaguardia certo l’interesse pubblico. E’ stato questo, a nostro giudizio, il caso della Variante del 2001, che ha riconvertito più di 4 milioni di mq di aree destinate a verde pubblico in aree di perequazione urbanistica, aumentando di oltre 2,6 milioni di mc la capacità edificatoria del PRG, senza uno straccio di disegno urbano in grado di individuare le effettive convenienze pubbliche e senza alcuna relazione con le reti del trasporto pubblico. Con questa operazione si sono cancellati in un colpo solo i pochi parchi di valenza urbana e territoriale previsti a Padova (Basso Isonzo e Terranegra) ed i sette “cunei verdi” di cui abbiamo accennato all’inizio (tra i quali le aree limitrofe al parco IRIS, rimaste ancora in parte inedificate dopo la lottizzazione operata dalle cooperative della Compagnia delle Opere in variante di PRG).

Logiche di speculazione fondiaria e di cementificazione che possono essere combattute solo se sapremo imporre più trasparenza nella gestione dei lavori pubblici, ma soprattutto se riusciremo ad ottenere che i piani urbanistici siano costruiti con la partecipazione attiva dei cittadini.

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Informazioni su Sergio Lironi

Architetto Presidente onorario Legambiente Padova

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