Uno dei temi più drammaticamente sentiti in questi giorni, anche se poco discussi in campagna elettorale, è quello dell’occupazione. L’anno scorso nel Veneto si sono persi 52 mila posti di lavoro, mentre il numero dei disoccupati ha superato quota 105 mila. Dati resi ancor più drammatici dai 22 casi di suicidio motivati dalla perdita del lavoro o da ragioni finanziarie.
La novità è che se un tempo le esigenze dello sviluppo economico e del lavoro apparivano estranee o del tutto contrapposte a quelle della salvaguardia ambientale e dell’ecologia, oggi è certamente vero il contrario.
Diviene ogni giorno più evidente che la crisi attraversata dalla nostra economia non è congiunturale, bensì strutturale. Non si può immaginare di uscirne semplicemente sperando di agganciare, prima o poi, la ripresa annunciata in altri paesi europei. Molte nostre attività produttive sono obsolete e condannate a soccombere nei confronti dell’agguerrita concorrenza dei paesi emergenti dell’Asia, dell’Est europeo o dell’America Latina. Le politiche del governo e della Regione appaiono, da questo punto di vista, decisamente inefficaci. Ad un atteggiamento attendista affiancano l’annuncio di grandi opere (il ponte sullo Stretto, la TAV della Val di Susa, le centrali nucleari, …) che, oltre a sottrarre risorse vitali ad interventi decisamente più utili ed urgenti, hanno ricadute occupazionali del tutto irrilevanti. Grandi opere affidate in concessione ai moloch della finanza nazionale ed estera e che tagliano fuori il cuore pulsante dell’economia italiana, costituito dalle medie e piccole imprese che hanno il coraggio di affrontare la concorrenza internazionale attraverso la ricerca, l’innovazione tecnologica e la qualità dei propri prodotti, una qualità che sempre più si coniuga con le ragioni dell’ecologia, della salvaguardia del territorio e del paesaggio, del risparmio energetico, della riduzione delle emissioni climalteranti.
Anche molti esponenti del PdL e della Lega Nord hanno inserito nei loro programmi lo sviluppo della green economy e delle fonti energetiche rinnovabili. Ma quale credibilità possono avere questi programmi se le poche risorse pubbliche disponibili vengono dirottate in tutt’altra direzione (solo per il nucleare si prevedono investimenti nell’ordine dei 60 miliardi) e se il modello proposto è ancora una volta quello della centralizzazione (e militarizzazione) dei siti e della dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento delle materie prime, anziché quello del risparmio e di una produzione energetica diffusa nel territorio ovvero della creazione di bacini territoriali tendenzialmente autosufficienti dal punto di vista energetico in virtù di un razionale sfruttamento delle risorse idroelettriche locali, del solare, dell’eolico, della geotermia e delle biomasse?
Che possibilità ha l’Italia di “agganciare la ripresa” se non ci poniamo l’obiettivo di rispettare l’impegno sottoscritto con la Comunità Europea di riduzione, entro il 2020, del 20% delle emissioni di CO2, di riduzione del 20% dei consumi energetici e di elevazione al 20% (il 17% per l’Italia) della quota di consumi energetici derivata dalle fonti rinnovabili? E’ proprio in questo settore che l’Europa intravede la possibilità di creare nuova occupazione, tra i 2,3 ed i 2,8 milioni di posti di lavoro entro il prossimo decennio direttamente nel campo delle rinnovabili, con un effetto occupazionale di due volte superiore nell’indotto (Rapporto Direzione Generale Energia e Trasporti, 2009). Una filiera produttiva che, se incentivata e sostenuta dalle politiche governative, potrebbe generare in Italia oltre 200 mila nuovi posti di lavoro stabili e sicuri (studio AssoEnergieFuture, 2010).
Ma anche in altri settori connessi allo sviluppo sostenibile vi sono concrete possibilità di crescita occupazionale. Un realistico programma d’intervento in questi settori è stato presentato lo scorso anno da Legambiente e CGIL. Un programma che prevedeva una manovra finanziaria di 15 miliardi (equivalente alla spesa prevista dal governo per l’acquisto nei prossimi anni di 131 nuovi cacciabombardieri F35) con investimenti nell’edilizia pubblica, nel risparmio energetico (il nostro è uno dei patrimoni edilizi in assoluto tra i più energivori d’Europa), nelle rinnovabili, nei trasporti collettivi e nella sicurezza ambientale, con una ricaduta occupazionale a breve termine di oltre 350 mila nuovi posti di lavoro.
E’ su questi temi che dobbiamo tentare di spostare il dibattito ed il confronto politico, avanzando proposte e progetti concreti, comprensibili alla maggioranza dei cittadini. Programmi su cui ricostruire l’unità delle forze progressiste e momenti di mobilitazione popolare. Una battaglia per l’ambiente e l’occupazione non puramente difensiva, che offra, senza discriminazioni tra “veneti” e migranti, migliori opportunità di vita e di lavoro per tutti i cittadini della nostra regione.